Artisti rinascimentali alla scuola d’abaco

Ci sono un luogo ed un periodo storico ben precisi dove un artista nasce, vive e respira immerso nel proprio clima culturale, sociale, politico. E questo panorama ‘ampio’, influenzerà necessariamente le scelte espressive che egli formulerà durante la propria attività professionale. E poi ci sono contingenze e situazioni particolari che lo riguardano in modo più diretto e personale; si tratta di tutte quelle esperienze formative che egli compie in maniera autonoma e magari diversa rispetto agli altri artisti. Queste esperienze specifiche sono rappresentate dall’apprendistato che egli compie a bottega, il contatto diretto con uno specifico maestro, la tipologia della committenza che inizierà a commissionargli le opere, etc… In ogni caso, però, la formazione artistica durante il Rinascimento, comportava due fasi distinte: la formazione culturale (identica per tutti) e quella professionale. In questa breve analisi parlerò della formazione culturale (scolastica) che, ovviamente, non riguardava soltanto la categoria degli artisti [Fig.1].

Fig. 1, Jacopo de’ Barbari, Ritratto di fra’ Luca Pacioli con un allievo, 1495, Museo di Capodimonte, Napoli

Una breve nota ruguardo alla diffusione del Liber abaci scritto nel 1202 dal matematico pisano Leonardo Fibonacci e della diffusione dell’uso dei numeri arabi, può essere utile per comprendere meglio il panorama che vado a descrivere:

La rivoluzione innescata dal Liber Abaci , che portava a Pisa, nel cuore dell’Europa dei mercanti e dei banchieri, una tecnica altamente innovativa ed anzi alternativa, comportava di cambiare non solo i metodi di calcolo, ma persino il sistema di numerazione. Questa è la principale ragione per cui stentò per lungo tempo a diffondersi. Anche la classe mercantile, abituata ai numerali romani e priva di confidenza con i nuovo algoritmi di calcolo, temeva di non poterne verificare i risultati (Fibonacci, forse prevedendo questo, aveva contemplato le prove del sette, del nove e dell’undici) e quindi di essere ingannata da facili contraffazioni: a Firenze nello statuto del 1299 l’Arte del Cambio vietò ai propri iscritti di utilizzare i numeri arabi per tenere la contabilità, imponendo che i numeri fossero scritti con i tradizionali numerali romani oppure in forma estesa, con la scrittura completa del nome; a Padova era richiesto ai librai che i numeri fossero scritti non per cifras, sed per litteras claras.  Con veti come questo, era dunque prevedibile che il boom del calcolo in figure degli Indi non seguisse all’istante la pubblicazione del Liber Abaci ed al contrario dovesse trascorrere quasi un secolo, prima che la validità e l’efficienza dei nuovi metodi si affermassero davvero tra i mercanti; i loro affari in quell’epoca si avviavano a superare il limite della dimensione locale per espandersi globalmente al mondo conosciuto, comportando l’uso di tecniche computazionali più efficienti di quelle tradizionali: di qui la necessità di apprendere le principali nozioni d’abaco e, di conseguenza, la nascita di scuole apposite (le Scuole o Botteghe d’abaco), in cui esse venivano insegnate. La parola ‘abaco’ aveva gradualmente mutato il proprio significato grazie alla diffusione delle figure degli Indi ed alle più snelle e precise procedure di calcolo che si basavano sul loro utilizzo: perso il riferimento allo strumento di calcolo, ora indicava genericamente l’aritmetica commerciale. […] I maestri d’abaco offrivano un vero e proprio piano di studi, costituito da corsi. Radford illustra come, nella scuola di Maestro Francesco Ghaligai (nella Firenze di inizio XVI secolo), esistessero ben 7 corsi consecutivi: il primo sulle operazioni aritmetiche fondamentali di addizione, sottrazione e moltiplicazione; seguivano tre corsi sulla divisione con divisore a una, due e tre cifre; poi corsi sulle frazioni, sulla regola del tre ed anche sul sistema monetario della città. Nel piano formativo di base delle scuole d’abaco si nota l’assenza dell’algebra, riservata all’insegnamento più avanzato, destinato agli studenti più promettenti con particolare attitudine alla disciplina o con l’aspirazione a diventare a loro volta maestri d’abaco (Ambrosetti Nadia, L’eredità arabo-islamica nelle scienze e nelle arti del calcolo dell’Europa medievale, 2008, pp.247-248).

Com’è facilmente intuibile, nella società italiana del XV secolo, il tasso di analfabetismo era molto elevato, la preparazione scolastica era una prerogativa di pochi. Quei pochi che potevano beneficiare di un’istruzione scolastica costituivano due diverse categorie. Da una parte c’erano i ‘dotti’, gli intellettuali, coloro che conoscevano il latino in modo adeguato, che completavano il proprio percorso formativo con l’accesso nelle università, che avevano avuto il loro straordinario sviluppo durante il Medioevo [Fig. 2].

Fig. 2, Pierpaolo dalle Masegne, Arca di Giovanni da Legnano, frammento, 1383, Museo Civico Medievale, Bologna

Dall’altra parte c’era lo strato culturale intermedio, di cui facevano parte ‘i mercanti, gli artigiani, gli artisti, gli architetti, i maestri d’abaco, gli algebristi, gli ingegneri, gli idraulici, gli agrimensori, i cartografi, i meccanici, i costruttori di strumenti scientifici, i chirurghi, gli speziali, i maestri d’artiglieria… : insomma, i tecnici di ogni genere […]’ (Maccagni Carlo, Cultura e sapere dei tecnici del Rinascimento in Piero della Francesca tra arte e scienza. Atti del Convegno Internazionale di Studi – Arezzo, 8-11 Ottobre, Sansepolcro 12 Ottobre 1992 – Venezia,1996, p. 280).

Pur non essendo degli intellettuali, i ‘tecnici’ avevano così il beneficio di poter appartenere alla classe dei cittadini sufficientemente istruisti.

Le scuole frequentate dagli appartenenti a questa seconda categoria erano le scuole d’abaco, che seguivano il primo ciclo scolastico elementare, ed offrivano un livello di studi medio:

[…] particolari scuole a indirizzo commerciale – le scuole d’abaco, l’origine della quali può ricondursi al matematico pisano Leonardo Fibonacci – che adottarono la mercantesca [1] e il volgare, e grazie all’ampia diffusione di esse e all’elevata frequenza di giovani destinati non solo alla mercatura ma anche a qualsiasi altra attività pratica, divennero potenti ed efficaci strumenti di alfabetizzazione per tutto lo strato culturale intermedio […]. Le scuole o botteghe d’abaco, già presenti in Toscana alla fine del Duecento, sorsero per rispondere inizialmente alle necessità delle imprese commerciali di poter disporre di personale preparato per le sempre più raffinate e complesse tecniche contabili e di gestione. Tali scuole, com’è già percepibile nel panorama dell’istruzione del Trecento e diverrà ben evidente nel secolo successivo, assumono nel tempo, accanto alla destinazione specifica, quella di una preparazione generica preliminare all’avviamento al lavoro, o meglio all’apprendistato, e solo eccezionalmente all’università – cui si accedeva di norma dopo le scuole di humanae littterae, nelle quali si imparava il latino – La fase del curriculum antecedente la scuola sia d’abaco sia di lettere, aveva carattere elementare e sostanzialmente indifferenziato. I rudimenti del leggere, dello scrivere e del far di conto erano appresi in scuole pubbliche o private o, in pochi casi, in famiglia: l’insegnamento, iniziato fra i cinque e i sette anni, durava mediamente un quinquennio (Maccagni, 1996, pp. 282-283).

Dopo i primi anni di istruzione elementare gli alunni imparavano le nozioni basilari della grammatica latina esercitandosi nella lettura di brani molto facili.

Nella scuola d’abaco però il latino veniva abbandonato e si utilizzava il volgare; così soltanto chi avesse proseguito i propri studi con la scuola di lettere (in preparazione al ciclo universitario), avrebbe potuto mantenere ed approfondire la conoscenza del latino che costituiva il vero e proprio spartiacque fra il gruppo degli intellettuali e quello dei ‘tecnici’. La frequentazione delle scuole d’abaco rimaneva comunque un privilegio, quindi gli studenti erano per lo più figli di commercianti, artigiani o notai. Imparando a fare di conto, i giovani venivano indirizzati all’esercizio della professione paterna.

Accanto a coloro che intendevano dedicarsi alla mercatura, all’idraulica o all’ingegneria, alla scuola d’abaco andavano anche gli aspiranti artisti che desideravano fare, successivamente, il loro ingresso all’interno di una bottega artigiana, sotto la guida e la tutela di un maestro che gli avrebbe fornito le nozioni e gli strumenti tecnici adatti ad una formazione artistica completa.

La durata della scuola d’abaco variava dai tre ai cinque anni. Dagli insegnamenti di aritmetica, algebra e geometria, impartiti all’interno delle scuole, gli artisti avrebbero tratto notevole giovamento durante la loro attività professionale, non meno dei futuri mercanti. Basti pensare alle applicazioni pratiche della prospettiva (il metodo utilizzato per misurare le grandezze e renderne graficamente le giuste proporzioni ), nelle opere di molti artisti fiorentini durante il XV secolo. Lo studio della geometria apre la via per la conoscenza dei principi della percezione visiva e delle loro applicazioni un ambito artistico.

Conclusa la fase scolastica ed avendo così ricevuto un’adeguata istruzione ‘facilmente spendibile’ in ambito professionale, l’artista si trovava ad affrontare il vero e proprio apprendistato, entrando in contatto diretto con i materiali e le tecniche  dell’arte sotto le direttive attente di un maestro che gli apriva le porte della propria bottega e lo preparava a poter svolgere la professione in totale autonomia. Naturalmente, le qualità personali dell’allievo-artista, avrebbero fatto tutto il resto.


  1. Mercantesca (o mercantile o fiorentina), scrittura: tipo di scrittura documentaria corsiva dei sec. XIII-XV, che trova esempi notevoli nei libri di commercio e nella corrispondenza dei mercanti fiorentini, ma anche nei libri dei ‘calcoli’ dell’amministrazione finanziaria del comune di Bologna. I documenti più caratteristici di scrittura m. si hanno nell’archivio del mercante pratese Francesco Datini (Prato, 1335-1410). Peculiarità grafiche della scrittura m. sono la larghezza e rotondità della scrittura e la facilità dei legamenti. Caso tra i più interessanti di scrittura professionale, la scrittura m. fu usata pure nella trascrizione di codici di opere di autori latini e volgari (Fonte:  http://www.treccani.it).

Lucia Borri

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