A ‘Casa Masaccio’ (San Giovanni Valdarno, Arezzo), nel 1999 è stata organizzata una mostra (bellissima!) dedicata alle opere del Maestro del Cassone Adimari, ovvero Giovanni di ser Giovanni di Mone Cassai, fratello minore di Masaccio e soprannominato lo Scheggia (1406-1468).
Il primo studioso ad identificare il Maestro del Cassone Adimari con lo Scheggia, è stato Luciano Bellosi (1936-2011).
Nel 1969 Bellosi tenne una conferenza presso il Kunsthistorisches Institut di Firenze in cui propose di identificare il cosiddetto Maestro del Cassetto Adimari (o Maestro di Fucecchio), con il fratello di Masaccio. Riscuotendo però molti pareri contrari, egli decise di non pubblicare per scritto le proprie ipotesi. Nel tempo, la critica ha accolto con favore questa identificazione, così, in occasione della mostra del 1999, Bellosi ha pubblicato il testo di quella sua conferenza tenuta 30 anni prima…
Nello studio della Storia dell’Arte, uno degli aspetti più affascinanti è quello inerente alla critica, cioè al lungo, costante lavoro che gli studiosi, i critici, gli storici compiono intorno all’opera d’arte. Le teorie, le confutazioni, le prove inattaccabili, i ripensamenti, a volte anche gli errori (Carlo Argan nel 1984, pensò che le opere di tre fenomenali giovani livornesi, fossero di Modigliani), creano una rete, un intreccio di sudi e di riflessioni straordinariamente interessanti.
Torniamo allo Scheggia e a due bellissimi esempi della sua produzione artistica.
La Scena di danza [Figg. 1, 2, 3, 4] del noto Cassone Adimari (che in realtà è una ‘spalliera’ e non un fronte di cassone), conservata nella Galleria dell’Accademia di Firenze, rivela la capacità dello Scheggia di saper raccontare con grazia ed eleganza una realtà favolosa, agiografica, fuori dal tempo, modulata solo da passi di danza leggeri e ben cadenzati… La scena rappresenta un allestimento all’esterno in cui si svolge una cerimonia nuziale. Sono riconoscibili, sulla sinistra, la Loggia del Bigallo e il Battistero di Firenze: si può quindi considerare l’attuale via de’ Calzaiuoli (all’epoca Corso degli Adimari, famiglia alla quale, evidentemente, era legata la cerimonia descritta in questa tavola), come il luogo in cui si ambienta la rappresentazione. Sono presenti donne e uomini abbigliati in maniera sontuosa, suonatori e servi. Il gusto per le cromie brillanti e vivaci dei tessuti, durante il XV secolo, si mantiene inalterato rispetto al secolo precedente e le fogge degli abiti risentono degli echi della moda di gusto internazionale d’oltralpe; gli elementi decorativi, nei tessuti più preziosi (broccato, velluto, damasco), sono motivi floreali stilizzati o motivi geometrici che si ripetono in maniera seriale. Le ricche acconciature per le dame ed i copricapo per i loro cavalieri, sono un’altra nota caratteristica della moda rinascimentale.
Nel nostro immaginario, l’idea di un corteo o di una danza rinascimentali è esattamente questa; e guardando la scena dove sono rappresentati i musici, sull’estrema sinistra [Fig. 4], sembra quasi di poter sentire il suono degli strumenti musicali e percepire così il ritmo che scandisce i passi delle figure rappresentate…
Perchè è proprio grazie all’Arte, al Teatro, al Cinema, alla Letteratura, alla Musica, che si creano dentro di noi idee puntuali. ‘Visualizzazioni’ che la nostra mente, solo con il contributo (fondamentale) della Storia, non sarebbe in grado di produrre. Ecco perchè l’Arte, nella sua completezza di contenuti e di categorie interne ad essa, ha il potere di formare e informare l’immaginario umano. L’Arte è una parte essenziale della vita dell’uomo.
Fig. 1, Scheggia, Scena di danza (nota come Cassone Adimari), 1450 ca. Galleria dell’Accademia, Firenze
Al Metropolitan Museum di New York è conservato il prezioso desco da parto con Il trionfo della Fama [Figg.5, 6] realizzato dallo Scheggia in occasione della nascita di Lorenzo il Magnifico nel 1449!
Fig. 5, Scheggia, Trionfo della Fama (recto), 1448, Metropolitan Museum of Art, New York
Fig. 6, Scheggia, Trionfo della Fama (verso), 1448, Metropolitan Museum of Art, New York
Il desco da parto era un vassoio in legno, decorato sia sul recto che sul verso, usato durante il Medioevo e il Rinascimento per portare brodo di pollo, dolcetti o altri piccoli doni alle donne che avevano appena partorito e dovevano recuperare le forze. A tale straordinaria tradizione pittorica fiorentina, si dedicarono numerosi artisti e oggi possiamo ammirare notevoli esempi di questa particolarissima produzione.
Sul fronte l’opera dello Scheggia rappresenta il Trionfo della Fama, sul retro gli stemmi della famiglia Medici e Tornabuoni: Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero di Cosimo de’ Medici (soprannominato – cosa impensabile ai giorni nostri – Piero il Gottoso, a causa della dolorosa malattia da cui era affetto), era la madre di Lorenzo il Magnifico, quindi, il desco rappresentava la celebrazione delle due casate.
‘Come tema del desco Piero scelse un’allegoria, il trionfo della dea Fama, come l’avevano descritta Petrarca e Boccaccio nelle loro opere. Fu rappresentato sul lato principale, mentre sul retro fu dipinto un emblema dei Medici, un anello di diamante con tre penne e il motto “Semper”. La dea alata, che secondo un antico mito diffondeva nel mondo la fama degli eroi, sta con le braccia aperte su un palla d’oro, posta su un carro di trionfo. Dalle aperture della palla escono le trombe, che fanno risuonare la fama. La Fama tiene in una mano una spada e nell’altra una statuetta d’oro di Amor, che, come scrisse Petrarca nel suo Trionfo della fama, tiene avvinti vari cavalieri’ (Ingeborg Walter, Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, Donzelli Editore, 2005, p.10).
Oltre che per la qualità artistica, il desco è importante per testimoniare quale fosse il livello della committenza del fratello di Masaccio, un artista di origine provinciale che era riuscito evidentemente ad acquisire grande notorietà a Firenze.
Questa cosiddetta produzione artistica ‘minore’, lussuosa ed aristocratica, si accompagna alla professione pittorica vera e propria dello Scheggia, nella quale però il livello qualitativo delle pale dipinte e degli affreschi risulta minore, rispetto a quello che dimostra con la propria specializzazione nella realizzazione di manufatti.
Ma questo, in realtà, per l’artista rappresentò un notevole vantaggio: questa sua specializzazione come ‘cofanaio’, gli permise di poter contare su una committenza prestigiosa, come ad esempio quella medicea e ciò gli consentì di ‘aumentare i beni di famiglia e perfino di lasciare in odore di nobiltà la propria discendenza, che da allora in avanti assunse il cognome di Guidi, cioè il cognome di quella che era stata la più antica e potente famiglia feudale fiorentina’ (Luciano Bellosi, Haines Margaret, Lo Scheggia, Firenze-Siena, 1999, p.31).
Le opere dell’artista sono numerose ed il catalogo è suscettibile di ampliamento. Nelle collezioni private, presumibilmente, si potrebbero rintracciare altri esempi della sua elegante produzione.
Lucia Borri