Una delle migliori direzioni che possa essere intrapresa da un artista, è quella del superamento, dello scardinamento del pensiero statico, confortevole e perfettamente confezionato; la direzione di chi fornisce elaborati artistici o intellettuali, capaci di incrinare irrimediabilmente l’esistenza comoda e ben organizzata dei consumatori-fruitori di tali oggetti. Il pubblico rimane perplesso, circospetto, offeso dall’oltraggiosa mancanza di buon senso, ma poco importa. Il processo comunicativo, essenza stessa del fare arte, in certi (rari) casi riesce a intaccare il rassicurante rapporto dialogico tra l’umano pensare (soggetto conoscitore) e la realtà (oggetto da conoscere/conosciuto). Lo schema linguistico di Jakobson, ridotto ai minimi termini, in realtà risulta ancora perfettamente messo in atto e funzionante: mittente – messaggio – destinatario. Evidentemente un processo comunicativo realmente rivoluzionario, non può esistere, non potendo prescindere dai suddetti tre elementi basilari che rappresentano la conditio sine qua non dell’intero atto comunicativo. L’unica, vera rivoluzione comunicativa, in effetti, potrebbe attuarsi con l’assoluta mancanza di comunicazione, quindi col ‘non fare arte’, non produrre alcun elaborato intellettuale, poetico, musicale… Il silenzio assoluto. Ma sarebbe inutile, dal momento che non esiste niente di più comunicativo del silenzio.
A metà del secolo scorso, un artista DECISE di fare un taglio su una tela. Desiderando ardentemente muoversi oltre lo spazio della tela stessa. Trovo particolarmente emblematica l’idea del ‘taglio’, termine che, anche nella sua accezione più ampia indica una rottura, un punto di non ritorno: l’espressione linguistica ‘dare un taglio a qualcosa’, ha un significato chiarissimo. Ecco, in quell’atto si concretizzò un cambiamento radicale sia del contesto entro cui veicolare il messaggio da comunicare, che del codice utilizzato per comunicare tale messaggio. Non si trattava più di una tela o una tavola su cui dipingere, narrare qualcosa, né di materia da scolpire, plasmare, fondere; e non venivano usati strumenti per disegnare o regalare tridimensionalità ad una massa senza forma desiderosa di essere in-formata. L’idea da comunicare, e poi comunicata, travalicò qualunque concetto artistico precedente.
L’utilizzo di un codice comunicativo non comune, cioè non condiviso, quindi incomprensibile, tra mittente (artista) e destinatario (pubblico), corrode, gratta via tutto ciò che fino al momento del suo utilizzo è stato plasmato dall’esattezza tiepida dell’opinione della maggioranza, della massa. L’artefice di tale prodezza è perfettamente conscio del fatto che stia utilizzando un insieme di segni non convenzionali e quindi formule che risulteranno illeggibili, sconosciute, disturbanti per i fruitori dell’opera. Ma l’artista, sovente, è un temerario ottimista: il limite iniziale dell’incomprensibilità, non è certo un comparto stagno che non possa essere forato, aperto, scoperchiato. Ma per far ciò il destinatario, fin troppo viziato dal comune modus percipiendi, dovrebbe riuscire a distruggere – o almeno a mettere in discussione – certi limiti strumentali intellettivi e cognitivi propri di un meccanismo razionale che si basa unicamente sulle ‘sensate esperienze’ e le ‘certe dimostrazioni’ galileiane… Ciò consentirebbe di dar vita ad nuovo corso conoscitivo scorrevole, continuo, incessante, aperto e, cosa fondamentale, sempre in potenza e mai in atto.
La produzione dei tagli realizzati da Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 19 febbraio 1899 – Comabbio, 7 settembre 1968), è stata estremamente succulenta e rappresenta un tratto fondamentale per lo studio della Storia dell’Arte e dell’uomo. Alcuni individui, per ragioni miracolosamente mai del tutto conoscibili, riescono a muoversi tracciando sentieri che portano alla creazione di quanto di più autentico l’arte possa esprimere: l’inesprimibile.
Nel titolo ho menzionato Alda Merini perchè leggendo un aforisma della signora dei Navigli (nata con la primavera), ho visualizzato in maniera immediata, automatica, le attese infinite di Lucio Fontana. I tagli di Fontana sono sospensioni purissime, coraggiose, varchi aperti sull’altrove che trovano una sintesi esatta in questi versi tenui: quando li ho letti, mi è sembrato di guardare Concetto spaziale, Attesa.
Da allora Alda Merini e Lucio Fontana nella mia mente sono diventati inscindibili. Potenza della sinestesia.
Alda Merini, Lucio Fontana, due equilibristi sul filo, due viaggiatori siderali che mostrano un’identica urgenza di rivoluzionare lo spazio vita-arte. Scavalcano i confini che confortano, le linee di demarcazione stabili(te), le definizioni certe, le divisioni, le delimitazioni che servono a intiepidire i giorni (e le opere) rendendoli rassicuranti, vivibili, facilmente narrabili.
Alda Merini, 1931 – 2009
Lucio Fontana 1899 – 1968
Quando si tenta di scrutare la forza della luce che – silenziosa e prepotente – invade qualunque spazio fisico noto, quando si manifesta una profonda volontà di estensione estetica (quindi conoscitiva, esistenziale), e si ha il desiderio di scorgere l’incostanza del rapporto tra spazio e percezione dello spazio, allora si comprende che il mondo è ‘soltanto’ realtà fluente, aperta e ciò rende molto più profonda la visione su ciò che ci circonda.
La vita e l’arte, specchi d’acqua riflettenti, sono zone aperte, sciolte, mai vuote, in cui si muovono continuamente segni, gestualità e concetti in costante, eterna sospensione. Così com’è lo spazio infinito, sopra di noi, ‘sospeso’, non quantificabile secondo alcun parametro umano.
Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa, 1964
Ulteriore minima digressione. Che cos’è un confine? Semplicemente una delle tante, mirabolanti invenzioni umane. Per esempio, qual è il confine tra il bianco e il nero? Il grigio? No. Il grigio risulta dalla compenetrazione di bianco e nero, dalla loro mescolanza, assumendo una gradazione infinita di toni in base al prevalere dell’uno o dell’altro pigmento e non rappresenta, quindi, la fine del bianco e l’inizio del nero… O viceversa.
Evitare di legarsi, col pensiero e col corpo, allo spazio così come lo conosciamo-misuriamo, può aprire squarci intellettivi sorprendenti. Un taglio verticale su una tela, il senso di irrequietezza quando ci si sente legati allo spazio. La leggerezza di pensiero potente e viva, è di pochissimi, è degli spiriti più audaci, creature splendenti che vivono ‘oltre la tela’.
Lucia Borri, 2011