Nel 1961 Luciano Berti, funzionario della Soprintendenza fiorentina, attribuì a Masaccio il Trittico di San Giovenale [Fig.1], scovato nell’omonima chiesa ed attualmente conservato nel Museo Masaccio d’Arte Sacra, presso la pieve di San Pietro (Cascia di Reggello, Firenze).
Le tavole di questo straordinario trittico sono dipinte a tempera e oro zecchino.
Fig. 1, Masaccio, Trittico di San Giovenale , 1422
Cascia di Reggello, Firenze, Museo Masaccio d’Arte Sacra
Masaccio nasce a Castel San Giovanni (attuale San Giovanni Valdarno), il giorno 11 dicembre dell’anno 1401, giorno dedicato all’apostolo Tommaso (da qui la scelta del suo nome) e muore nel 1428, a 27 anni (entrando così di diritto nel ‘Club 27’ delle rockstar…). Breve e intensa, la vita sua.
Mentre a Firenze Filippo Brunelleschi innalza l’emblema stesso della città [Fig.2] e Donatello anima la nicchia ogivale di Orsanmichele inserendovi la figura di un santo-guerriero [Fig.3], Masaccio si prepara ad esordire nell’arte pittorica con il Trittico di San Giovenale. Ed è così che, con queste tre incredibili espressioni di architettura, scultura e pittura, nasce quella specie di magia che si chiama Rinascimento fiorentino. Ma di questo parlerò in maniera più dettegliata in un altro momento.
Fig. 2, Filippo Brunelleschi, Cupola di Santa Maria del Fiore, 1418-1434, Firenze
Fig. 3, Donatello, San Giorgio, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo, 1415-1417
Torniamo al nostro trittico. L’opera, destinata alla piccola chiesa di San Giovenale (nome che designa anche il mucchio di case che sta intorno alla chiesa), con molta probabilità fu commissionata a Masaccio da una delle ricche e potenti famiglie fiorentine che, a partire dalla fine del XIII secolo, avevano possedimenti terrieri nel contado.
Masaccio, in questo suo straordinario esordio, mantiene la preziosità lucente e solenne del fondo oro, tipico delle pale d’altare trecentesche, ma inventa uno spazio prospettico nuovo che regala vasto respiro alla Sacra Conversazione. I volumi ritrovati conferiscono peso e concretezza ai corpi e così assistiamo ad una scena vera in cui una possente fanciulla dal volto serio, dona le proprie sembianze ad una Madonna che troneggia fiera, maestosa – eppure delicatissima – al centro del polittico. Il trono marmoreo sembra cercare una struttura più ferma e salda rispetto agli esempi artistici precedenti: lo schienale concavo con finale orizzontale, gli intarsi policromi appena accennati, i pomelli al posto delle colonnine tortili. Un trono estremamente semplice che sa svelare una grande potenza estetica e spaziale.
Lo scomparto centrale rappresenta la Madonna in trono col Bambino e due angeli con le vesti rosate e delle piccole, tenere ali multicolor [Fig.4]; nello scomparto di sinistra sono raffigurati san Bartolomeo e san Biagio [Fig.5], a destra ci sono san Giovenale e sant’Antonio Abate [Fig.6].
Fig. 4, Madonna in trono col Bambino e due angeli
Fig. 5, San Bartolomeo e San Biagio
Fig. 6, San Giovenale e Sant’Antonio Abate
L’apostolo san Bartolomeo tiene in mano la Bibbia ed il coltello, simbolo dello straziante supplizio subìto. San Biagio martire, vescovo di Sebaste (Cappadocia), è riconoscibile dagli attributi episcopali (vesti sontuose, mitra, pastorale) e dal pettine per cardare la lana, puntuale riferimento al martirio: si narra che il santo fu picchiato e scorticato, ancora vivo, con dei pettini di ferro. San Biagio veniva invocato per proteggere i raccolti e favorire la fertilità dei terreni, poi il suo culto fu associato a quello di sant’Antonio Abate e san Bartolomeo come protettori del bestiame.
San Giovenale, primo vescovo di Narni (vissuto nel V secolo), viene rappresentato con le preziose vesti, la mitra, il pastorale ed il libro sapienziale. L’esistenza di una chiesa intitolata ad un santo umbro nella campagna del Valdarno fiorentino, si comprende grazie alla presenza di una direttrice stradale che faceva da collegamento tra l’antico ducato longobardo di Tuscia e quello di Roma: questo spiega il motivo della contaminazione di culti umbri in Toscana già a partire dall’età longobarda. Nella tradizione popolare occidentale, oltre a san Giovenale, san Biagio e san Bartolomeo, anche sant’Antonio Abate, eremita egiziano, veniva particolarmente venerato come protettore degli animali e invocato contro ogni tipo di contagio. Quest’ultimo è riconoscibile nel trittico, dal bastone a forma di tau (crux commissa), dal libro e dal porcellino che sta ai suoi piedi, elemento quasi giocoso all’interno dell’opera. La presenza del maiale è da rintracciare nell’abitudine dei monaci di sant’Antonio di utilizzare il lardo come medicamento.
La scelta di questi quattro santi è legata alla realtà della vita contadina delle campagne in cui spesso c’era bisogno dell’intercessione soprannaturale per poter scongiurare fame e carestie.
Nella parte bassa del trittico sono leggibili due iscrizioni, sul trono marmoreo e sul fondo inferiore del trittico [Figg.7, 8]. Sul basamento del trono della Madonna si intravedono tracce della Salutatio Angelica, scritta in lettere d’oro ‘all’antica’ : [AVE MAR]IA. DOMINUS. TECUM. BENEDICTUS.
Fig. 7, Iscrizioni sul fondo inferiore del trittico
Fig. 8, Iscrizioni: sul trono marmoreo e sul fondo inferiore del trittico
L’ iscrizione sul trono probabilmente non rappresenta un semplice elemento devozionale, ma si fa determinante per interpretare l’opera secondo la visione salvifica cristiana; e ciò si capisce osservando il Bambino: sano, vigoroso, solido e quadrato nella sua pienezza vera e tangibile; la Madonna lo tiene e lo sostiene saldamente come a volerlo presentare e preservare al tempo stesso. Cristo Bambino sta portando infatti alla bocca i chicchi di un grappolo d’uva, allusione esatta al mistero dell’Eucaristia cristiana [Fig.8].
Fig.8, Madonna col Bambino che tiene in mano un grappolo d’uva
In fase di restauro, nel bordo inferiore dell’opera, nella parte sottostante al listello di legno che faceva da cornice, sono state rinvenute delle scritte a lettere capitali d’oro incise su fondo lapislazzuli. Quelle del laterale di sinistra e del laterale di destra, presentano i nomi dei quattro santi; che risulterebbero comunque facilmente riconoscibili dai loro attributi iconografici. Ma l’iscrizione più emozionante è quella centrale. Infatti vi compare la data: [ANNO DO]MINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D’AP[RILE].
Secondo Berti, scopritore dell’opera, il trittico firmato 23 aprile 1422, fu spedito poco dopo dalla bottega fiorentina in cui lavorava Masaccio, per essere inaugurato nella chiesa di San Giovenale il 3 maggio seguente: giorno della festività del santo vescovo di Narni, patrono della chiesa.
L’attribuzione di quest’opera a Masaccio, fu consolidata dai confronti con le altre opere eseguite dal pittore sangiovannese e dall’esame di un affresco il cui autore, all’epoca della scoperta di questo capolavoro, era ancora incerto. Ma anche questo è un argomento che merita un’ulteriore dissertazione.
Lucia Borri