In molti quadri Gustav Klimt (Vienna, 1862-1918), ritrae sofisticate signore dell’aristocrazia viennese. Le tele sono pervase da un’ineffabile atmosfera lontana dal tempo, malinconica; un’atmosfera che si consuma nell’autocompiacimento, dentro a torri d’avorio in cui l’argenteria è sempre lucidata a specchio.
È come se sopra alle tele si fosse depositato, da subito, uno strato di cipria. O di polvere. Metafora dell’imminente declino di quell’amabile mondo ‘antico’ che, con l’avvento del nuovo secolo, si sarebbe guardato allo specchio per osservare lo sgretolamento dei propri castelli di carta, delle proprie certezze. Questi ritratti profumano di quotidianità ovattata e nostalgica, sembrano foto in posa spuntate fuori da qualche pesante album di famiglia ripescato in soffitta. Sono ritratti che odorano di sale da tè, di kenzie sottili che adornano stanze vaste esposte a mezz’ombra, di tappezzerie ricche, di sontuosi broccati di seta e di preziosi accessori dal gusto esotico. Sono echi di luoghi dove l’aria che si respira è pulita, ha un buon odore, è aristocratica… L’aristocrazia fissata col pennello, sulla tela.
Gli sguardi pieni di languore, gli abiti raffinati, scelti secondo il gusto di qualcuno che ha buon gusto, le pose ben meditate e a volte vagamente melodrammatiche, rendono queste signore ritratte da Gustav Klimt, straordinariamente statiche eppure maledettamente inquiete, allo stesso tempo.
Propongo qui uno dei miei ritratti femminili preferiti, il Ritratto di Marie Breunig, del 1894.
Un mondo effimero ricoperto di cipria.
Lucia Borri